Otto anni dopo il fallimento della Lehman Brothers, che diede il via alla crisi creditizia più grave dopo quella del 1929, c’è un’altra banca che minaccia di trascinare a fondo il sistema finanziario mondiale: la Deutsche Bank.
Creata nel 1870 per accompagnare l’industrializzazione e le esportazioni del Reich, la Deutsche Bank per un secolo è stata indissociabile dal modello renano della banca-industria. Dagli anni 90 in poi si è convertita alla norma del capitalismo finanziario deregolamentato, dando la priorità alle attività di mercato. Oggi concentra in sé il peggio dei due sistemi, coniugando la dismisura e l’ossessione per i profitti a breve termine che caratterizzano la finanza americana con un complesso di superiorità tutto germanico che è all’origine del «Dieselgate» della Volkswagen.
Il modello economico del colosso bancario tedesco, con un bilancio da 1.800 miliardi di euro a fronte di appena 62 miliardi di fondi propri, è insostenibile. L’attività di banca al dettaglio è poco redditizia per via dei tassi negativi e della concorrenza delle banche regionali ( Landesbanken) e delle casse di risparmio ( Sparkassen), che sono sottoposte a una vigilanza molto meno stringente. L’attività di banca di affari sta esplodendo sotto il peso dei requisiti patrimoniali imposti dalle nuove regole prudenziali, mentre i ricavi sono in calo.
Parallelamente, la Deutsche Bank deve affrontare il moltiplicarsi dei contenziosi legati a una cultura del rischio e delle gratifiche sconsiderata, che l’ha portata a specializzarsi in operazioni ai limiti della legalità: mutui subprime, manipolazione dei tassi di interesse, aggiramento delle sanzioni internazionali contro la Russia, emissione di titoli derivati per occultare 2 miliardi di euro di perdite del Monte dei Paschi. Tutto questo porta oggi la Deutsche Bank a detenere un portafoglio di prodotti finanziari la cui esposizione raggiunge i 46.000 miliardi di dollari, con il 12 per cento dei contratti di derivati a livello mondiale. Il suo indice di leva è arrivato a 30: per fare un confronto, era a 33 per la Lehman Brothers nel momento del default e si colloca tra 20 e 25 per le banche universali europee. Ma il rischio sistemico che incarna il colosso tedesco è ben maggiore di quello della Lehman, per via della sua attività bancaria al dettaglio, con 566 miliardi di euro di depositi. La sanzione di 14 miliardi di dollari contemplata dalla giustizia americana infliggerebbe il colpo di grazia alla Deutsche Bank. Sottratti i 6 miliardi di accantonamenti iscritti in bilancio, amputerebbe il colosso tedesco del 40 per cento della sua capitalizzazione di Borsa, già ridotta a 17 miliardi di euro, provocando la fuga delle sue controparti e scatenando il panico fra i depositanti.
Al di là del fatto che è tardiva, che la cifra è spropositata e che ci sono dietro motivazioni politiche, la sanzione prefigurata dagli Stati Uniti presenta il merito di fare luce sulla situazione della Deutsche Bank. A proteggerla, ormai, più che le sue attività liquide — 223 miliardi di euro — sono il nome, che induce a pensare che abbia dietro lo Stato tedesco, e soprattutto il suo status di istituzione finanziaria di rilevanza sistemica, incarnazione esemplare del principio del too big to fail. Né il mondo né l’Europa possono permettersi il lusso di un nuovo shock finanziario in un momento in cui la crescita non riesce a superare il 3 per cento, il protezionismo mina alla base i commerci internazionali, l’indebitamento è aumentato di 60.000 miliardi di dollari dal 2008, le Banche centrali hanno quasi raggiunto il limite delle loro possibilità di intervento e il populismo è in ascesa in tutti i continenti. Per tutte queste ragioni, e alla luce del drammatico fallimento della Lehman Brothers, la bancarotta della Deutsche Bank è da escludere. Ma le tattiche attendiste non sono più possibili.
Il salvataggio dovrà passare inevitabilmente per un intervento pubblico, paragonabile a quello intrapreso da Stati Uniti e Gran Bretagna nel 2008. Naturalmente, la Deutsche Bank dovrà negoziare con la giustizia americana una forte riduzione dell’ammenda e bisognerà avviare la cessione della Postbank, o addirittura delle attività di gestione patrimoniale. Ma tutto questo non basterà ad assicurare la sostenibilità della banca.
La crisi della Deutsche Bank sottolinea, peraltro, l’incoerenza della regolamentazione finanziaria europea, ad esempio per quanto riguarda l’inapplicabilità e la pericolosità delle regole per la risoluzione delle crisi bancarie. Rappresenta un ultimo avvertimento sulla necessità di ripensare la strategia economica dell’Europa intorno a quattro priorità: un risanamento drastico e rapido del sistema bancario; un alleggerimento dell’onere regolamentare e fiscale e la fine della politica di tassi negativi della Bce, che blocca gli investimenti; il rilancio di una crescita solida intervenendo su tutti i fattori della produzione (lavoro attraverso l’istruzione, capitali, energia, innovazione); una risposta coordinata alla guerra fredda economica che gli Stati Uniti stanno portando avanti facendo leva sul loro imperialismo giuridico, la loro potenza finanziaria e il loro monopolio dell’economia digitale.
Nicolas Baverez è editorialista del quotidiano Le Figaro © Le Figaro / LENA, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Fabio Galimberti
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Cette chronique est publiée simultanément
par sept quotidiens européens